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La divulgazione scientifica

Il 19 marzo 2023 sono stato invitato a dire la mia su Twitter a proposito di un post su “Math is in the air” (che, a proposito, vale la pena di seguire se non lo fate già). Il titolo del post è: “Opinioni impopolari sulla divulgazione scientifica: i video in stile tik tok avrebbero anche un po’ rotto“. Visto che mi è stato richiesto un parere, lo fornisco volentieri, senza per questo biasimare l’autore, che ha tutto il diritto di pensarla diversamente (dal che si capisce subito che non sono d’accordo con lui).

Leggendo il post ho subito capito che non ne avrei condiviso le tesi già dalle prime righe, per una reazione fisiologica, incontrollabile, che mi assale ogni volta che leggo qualcosa del tipo “ai miei tempi…”, “una volta…”, “i giovani d’oggi…”, “dove andremo a finire…”. Quali tempi? Quelli di quando ero giovane io? E perché non quelli di quando era giovane mio padre o mio nonno? A essere onesti, l’autore del post (Davide) non usa mai queste parole, ma il senso dei primi capoversi è quello. O, almeno, io l’ho interpretato così.

Ma veniamo al merito del post. Voglio subito chiarire una cosa: a me non piace quasi nessuna delle forme di divulgazione cui assisto più frequentemente. In questo posso dirmi solidale con Davide. Non mi piace la divulgazione che, per esempio, rispetto ai contenuti, privilegia lo spettacolo, banalizza troppo, e dai toni sensazionalistici (e.g., Focus), né quella che non spiega nulla, ma punta a generare meraviglia o, peggio, senso del mistero (e.g., Voyager). Non mi piace neanche quella troppo paludata, che usa volutamente termini incomprensibili ai più, o un linguaggio pomposo e desueto. Non sopporto quelli che amano non farsi capire, né quelli che pensano che la scienza non sia per tutti. Insomma, se non fosse chiaro, sono piuttosto schizzinoso. Mi disturbano anche quelli che danno l’illusione di farsi capire, ma sono di fatto incomprensibili (Zichichi, Rovelli).

Questo però non m’impedisce di essere contento di sapere che ci sono molti modi di fare divulgazione, alcuni (molti) dei quali non mi piacciono. Del resto, è come sul mangiare: io, per esempio, sono ghiotto di cose come coratella, cervella fritte, rigaglie di pollo, che farebbero ribrezzo a molti, ma non mi piacciono il fegato, la pajata, gli insetti (ho assaggiato biscotti di farina di grillo, che non sono cattivi, ma neanche buoni). Tuttavia non mi sogno neanche, come invece fa qualche politico, di pensare di proibire di mangiare ciò che a me non piace. Anzi. Trovo non solo giusto, ma salutare, che ci sia una certa varietà disponibile.

Non c’è un solo modo d’imparare. A ciascuno, dunque, occorre offrire il modo che gli è più congeniale di farlo. Se non ti va di leggere, l’indisponibilità di un video non ti farà propendere per la lettura. Ti farà semplicemente rinunciare a imparare qualcosa. Se la maggioranza delle persone preferisce vedere un video piuttosto che leggere qualcosa, significa che quest’ultima attività è più faticosa e meno “remunerativa”. Non significa affatto che leggere sia meglio che guardare un video. Potrebbe benissimo essere il contrario. Stiamo ancora imparando a usare queste tecnologie, e magari, un giorno, si capirà che i libri sono utili solo come oggetti da consultare, e che per imparare è meglio un video.

Quindi ben vengano i video di pochi secondi su Tik Tok e altre forme più o meno veloci, e più o meno rigorose, di divulgazione: l’unica cosa che conta è non propalare notizie “false”. Qui “false” è tra virgolette perché inevitabilmente, nella divulgazione, si usa qualche forma di metafora, e la metafora, per sua natura, nasconde un certa dose di falsità (altrimenti non ce ne sarebbe bisogno).

L’autore lamenta che i divulgatori promuovono se stessi prima di tutto. È forse mai stato diverso? Chi fa divulgazione lo fa, ovviamente, per condurre altre persone a ragionare in un modo che il divulgatore ritiene essergli congeniale. Anche il meno narcisista dei divulgatori non può fare a meno di promuovere se stesso o, quanto meno, il proprio modo di affrontare le questioni. E se anche lo facesse al solo scopo di attirare l’attenzione su di sé dov’è lo scandalo? Non siamo tutti alla ricerca di una qualche forma di approvazione da parte degli altri? Piero Angela (che invece mi piaceva) non era forse popolare?

Se per attirare l’attenzione mi vesto da clown o da supereroe commetto blasfemia? Io non lo farei mai: mi vergognerei come un ladro! Ma invidio quelli che sanno farlo. Perché sono più capaci di me di attrarre l’attenzione di chi li ascolta.

Non condivido nemmeno la tirata d’orecchie agli editori. Se un divulgatore è popolare, nel senso che è seguito da molte persone, è ovvio che chi, per mestiere, vende contenuti, lo promuova. Gli editori hanno l’obbligo di vendere. Se si possono permettere di pubblicare autori poco popolari è solo perché ne hanno in catalogo di molto popolari, che vendono di più e coprono le spese. A me, per esempio, piacciono molto i libri di Anthony Zee, ma dubito che il suo editore guadagni abbastanza dalla loro vendita. Per pubblicare i libri di Zee, l’editore deve necessariamente pubblicare quelli di autori della categoria di Carlo Rovelli. Un’eccezione a questa “regola” può essere Mario Tozzi, i cui prodotti sono, secondo me, di buona qualità, pur riuscendo a essere popolare.

D’altra parte i contenuti scientifici sono difficili: inutile negarlo. Che fare con chi non riesce ad afferrarne il significato? Meglio un video su Tik Tok che niente, dico io. Magari, attraverso quelli decide che è il caso di sforzarsi per saperne di più. Non è diverso dal convincere le persone a fare sport. Non è che tutti possono correre la maratona, ma magari una corsettina domenicale male non fa. E qualcuno di quelli che comincia con la corsetta per buttar giù un po’ di pancia, o per avere occasione d’incontrare qualcuno al parco, poi decide che gli piace e si prepara per qualcosa di più impegnativo.

Come in effetti osserva l’autore del post, le nuove generazioni non sono diverse da quelle del passato. Hanno solo strumenti diversi. Se ripenso a quando andavo a scuola io, le persone che s’interessavano di scienza nella mia classe erano tre (compreso me). Su 25. Non mi pare si possa dire che oggi le cose siano peggiorate. Del resto, anche quelli che sono andati a scuola prima di me avevano strumenti diversi. Si usava un regolo calcolatore invece di una calcolatrice elettronica. E prima ancora si usava la penna da intingere nel calamaio, invece di una biro o di una stilografica. È un male?

La disponibilità di nuovi strumenti è tutt’altro che un male. Io ne so infinitamente di più di quanto ne sapeva mio padre, che, a sua volta, ne sapeva di più di quanto ne sapeva mio nonno. E così via. E proprio grazie alla disponibilità di nuovi strumenti. Che le generazioni precedenti hanno spesso demonizzato (solo perché non erano capaci di usarli).

È falso che i contenuti insegnati a scuola o diffusi attraverso la rete siano più poveri di quelli del passato. I libri di fisica degli inizi del 1900 che si trovano nella biblioteca del mio dipartimento si fermano, sostanzialmente, a qualche nozione molto elementare di circuiti in corrente continua e alternata. I concetti in essi presenti, destinati a studenti universitari, oggi sono alla portata di un liceale. Uno studente di oggi non solo studia la corrente elettrica in modo molto più profondo, ma deve imparare l’elettromagnetismo, incluse le Leggi di Maxwell, e persino un po’ di fisica cosiddetta “moderna”. Sul Perucca (un noto testo del passato) ci sono centinaia di pagine in cui si descrive ogni sorta di circuito elettrico. Talvolta gli esercizi sono così complicati che anch’io ho difficoltà a risolverli. Ma è pura tecnica: non c’è molto da imparare oltre alla Legge di Ohm.

Perché un video ha senso solo se aggiunge qualcosa al testo scritto? Qual è il valore del testo scritto se non il suo contenuto? Se quindi il contenuto è veicolato in altro modo perde valore? Quando Gutenberg ha inventato la stampa, moltissimi avranno avuto da ridire perché volete mettere un incunabolo scritto a mano? E quelli che scrivono, forse, non sottraggono alla conoscenza quella componente emotiva che può trasmettere solo la tradizione orale?

Le informazioni hanno valore di per sé. Il mezzo attraverso il quale sono diffuse è irrilevante ai fini della valutazione del loro valore. Non è, al contrario, irrilevante il fatto che con alcuni mezzi è possibile “consegnare” l’informazione a molte più persone. In questo Tik Tok e compagnia hanno una funzione strategica straordinaria. Magari sapessi usarli io.

Il mezzo deve chiaramente evolvere, ma io già vedo enormi benefici. Quando ho installato Tik Tok per curiosità ho visto decine di video inutili (o, meglio, utili giusto per farsi una risata e passare qualche minuto senza pensare troppo, che è più che salutare). Ma già ora vedo che questa App mi propone, tra gli altri, video di madre lingua inglese che spiegano l’utilizzo di forme idiomatiche, la pronuncia delle parole, e altri “trucchi” linguistici che non avrei trovato su nessun altro supporto. E che per me sono utilissimi. Molto più di un libro di grammatica.

Sono sicuro che anche per i contenuti scientifici ci saranno presto applicazioni prima impensabili. Il che non sminuirà il valore dei video un po’ “scemetti”. Quelli saranno sempre utili per avvicinare sempre più persone al nostro mondo e, perché no, a far passar loro un po’ di tempo senza pensieri. Si può anche godere di un video scientifico come ci si gode quello in cui si racconta una barzelletta. Perché no? Ma sopra tutto saranno utili perché prima o poi qualcuno, a furia di imitarli, avrà l’idea buona e realizzerà un nuovo straordinario strumento di apprendimento.

1 pensiero su “La divulgazione scientifica”

  1. Gentile prof.re Organtini Le comunico che tra pochi gg questo indirizzo di posta elettronica sarà disattivato e poichè apprezzo molto i suoi articoli, Le sarei grata se potesse inviarli al nuovo indirizzo di posta

    scrisa71@gmail.com

    Cordialmente

    Simona Crisà

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