didattica, outreach

Per un nuovo modo d’insegnare la meccanica quantistica

episodio 2: forze e interazioni


Questo è il secondo post di una serie in cui invito a un drastico, ma graduale, cambiamento nel modo in cui insegniamo sia la meccanica quantistica che quella classica. L’idea è che continuare ad insegnare la meccanica quantistica come una totale rivoluzione della fisica sia controproducente e, di fatto, trasmette il messaggio, sbagliato, che la meccanica quantistica sia difficile da capire. In realtà, i fisici capiscono la meccanica quantistica molto meglio di quella classica: infatti, gli esperimenti di meccanica quantistica forniscono risultati coerenti con la teoria con incertezze ordini di grandezza migliori di quelle della fisica classica.

Questo numero è dedicato a rivedere il concetto di forza, spesso confuso con quello di interazione.


Le forze newtoniane

Qualsiasi libro di fisica parla di forze, che giocano un ruolo centrale nella meccanica classica. Tuttavia, si tende spesso ad abusarne, come chiariamo qui di seguito.

Le forze s’introducono con la meccanica newtoniana, attraverso la seconda Legge di Newton, spesso scritta come F=ma. In un post successivo parlerò anche di questa espressione (inutile dire che sono contrario a questo modo di scriverla), ma per il momento prendiamola come corretta. Per definizione, le forze sono vettori: sono caratterizzate da modulo, direzione e verso. Il motivo è che l’accelerazione a è un vettore, e un vettore moltiplicato per uno scalare m è ancora un vettore. In altre parole, le forze e le accelerazioni sono parenti stretti.

Questo concetto di forza continua ad essere valido nell’elettromagnetismo, dove le particelle cariche sono soggette alla forza di Lorentz che le accelera causando un cambiamento nella loro velocità (sia in modulo che in direzione e verso).

Quando si ha a che fare con sistemi gassosi compaiono i primi problemi. Per comprimere un gas abbiamo bisogno di una forza, ma la sua applicazione non può portare a un’accelerazione, semplicemente perché non ha senso parlare di velocità di un gas (vedi il mio precedente post qui). Per aggirare il problema i fisici hanno inventato il concetto di pressione definito come la componente della forza che agisce su una superficie perpendicolare ad essa, divisa per la superficie stessa. Vale la pena notare che la pressione è uno scalare, mentre la forza è un vettore e che la pressione si può definire come un prodotto scalare tra vettori, definendo l’area come tale.

Poiché le forze sono definite dalle accelerazioni, un altro problema si pone quando si effettuano misurazioni in sistemi di riferimento accelerati (non inerziali). In questi sistemi si sviluppano forze chiamate “fittizie” o “apparenti”, definite come F=-ma, con a pari all’accelerazione del sistema (si noti che in questo caso, contrariamente a quella usata per la seconda legge di Newton, l’espressione è corretta). Queste forze, in effetti, sono altrettanto reali rispetto alle altre forze cui siamo abituati, come la gravità o la forza elastica. Del resto si possono misurare utilizzando, ad esempio, un dinamometro, quindi sono tutt’altro che fittizie. Questo è il motivo per cui la maggior parte delle persone ha difficoltà con queste forze. In particolare, distinguere la forza centrifuga da quella centripeta è uno degli incubi degli studenti.

Cosa distingue le forze fittizie da quelle reali? La differenza sta nel fatto che queste ultime sono il risultato di un’interazione. La gravità si manifesta se una particella con massa interagisce con un’altra particella con massa. La forza elastica se una particella interagisce con una molla (o qualsiasi altro sistema che si comporta come una molla). La forza centripeta esiste perché è causata dall’interazione tra una particella e il mezzo che la mantiene in un percorso circolare (per esempio, legando una palla a una corda e facendola ruotare si produce un’accelerazione centripeta sulla palla a causa dell’interazione di quest’ultima con la corda: tagliando la corda l’interazione scompare, facendo venir meno la forza).

Le forze fittizie esistono solo in sistemi di riferimento non inerziali e non hanno alcuna sorgente: sono una pura conseguenza del modo in cui effettuiamo le misurazioni. In un sistema di riferimento in cui la palla dell’esempio precedente è a riposo, siamo costretti a “fingere” che vi sia una forza che agisce sulla palla per renderne nulla l’accelerazione in quel sistema. La forza fittizia dev’essere opposta all’unica reale: la forza centripeta applicata dalla corda. Quando un’auto slitta percorrendo una curva, la causa non è la forza centrifuga, ma la mancanza di quella centripeta (l’attrito statico tra le ruote e l’asfalto). Lo scostamento dalla traiettoria è infatti una conseguenza della prima legge di Newton, in un sistema di riferimento inerziale.

Forze non-newtoniane

Fino all’inizio del XX secolo, i termini “forza” e “interazione” erano praticamente sinonimi. Ogni interazione produceva forze e ogni forza (non fittizia) era causata da un’interazione. Con la scoperta dei decadimenti beta questo non è più stato vero.

Il decadimento beta è un fenomeno che consiste nella trasformazione (decadimento) di un neutrone in un protone, un elettrone e un neutrino. Il decadimento beta può anche portare alla trasformazione di un protone all’interno di un nucleo in un neutrone, un positrone e un neutrino (quest’ultima reazione può avvenire solo nei nuclei, a causa della conservazione dell’energia).

Un tale fenomeno non si può spiegare con nessuna delle forze fondamentali conosciute: né con la gravità, né con l’elettromagnetismo. Per varie ragioni, neanche la forza nucleare forte, che tiene insieme protoni e neutroni nei nuclei, può essere responsabile del decadimento. È stato Enrico Fermi a formulare la prima teoria funzionante del decadimento beta introducendo la cosiddetta interazione debole, solitamente considerata la quarta forza fondamentale.

La maggior parte dei libri di testo riportano frasi come le seguenti: “ci sono quattro forze fondamentali nell’universo: la forza forte, la forza debole, la forza elettromagnetica e la forza gravitazionale”¹.

Una tale affermazione è in realtà piuttosto fuorviante. La maggior parte delle persone identifica una forza con qualcosa che spinge o che tira. Associare un vettore a qualcosa che spinge o tira è in fondo abbastanza naturale. Tuttavia, nei fenomeni in cui è coinvolta la forza debole, non c’è nulla che spinge o tira. Non c’è un punto cui si possa applicare un vettore.

In effetti, la forza debole non è una forza, perché le forze si possono rappresentare come vettori, e in un decadimento non c’è un posto cui applicare un vettore. È un’interazione. Non tutte le forze sono causate da un’interazione (ad esempio, le forze apparenti non lo sono) e non tutte le interazioni danno origine ad una forza (come, ad esempio, l’interazione debole). Le forze si possono associare soltanto a interazioni il cui effetto è quello di spingere o tirare qualcosa che deve spostarsi dalla sua posizione. In generale le forze non si possono considerare responsabili di nessuno dei fenomeni della meccanica quantistica per i quali generalmente la posizione non è una variabile di stato (vedi episodio 1).

Cosa sono le interazioni? Possiamo definirle come qualsiasi cosa il cui effetto consiste nel cambiare lo stato di un sistema. Si consideri, ad esempio, una particella libera di muoversi. Se la particella si trova nel campo gravitazionale della Terra, la sua interazione con quest’ultimo porta ad una forza il cui effetto è quello di cambiare la sua velocità aggiungendovi una componente verticale. Di conseguenza, lo stato della particella cambia (si noti che, se si dà lo stato iniziale della particella in un sistema di riferimento in cui la particella è a riposo a t=0, se non c’è campo gravitazionale, lo stato della particella è conservato).

Un gas può interagire con una sorgente scambiando calore con quest’ultima. Non ci sono forze, qui, tuttavia ci può essere un cambiamento nello stato del gas, la cui pressione, volume e/o temperatura cambiano di conseguenza. Vale la pena di notare che lo stato di un gas si può rappresentare come un punto sul piano di Clapeyron e la sua trasformazione come una curva su tale piano. La rappresentazione dello stato e delle interazioni in uno spazio astratto non è dunque peculiare della meccanica quantistica.

Un neutrone può interagire con il campo dell’interazione debole che porta a un cambiamento dello stato iniziale da uno stato di neutrone a riposo a uno stato contenente un protone, un elettrone e un neutrino con energia e quantità di moto tali che l’impulso finale totale è nullo e l’energia totale è uguale alla massa del neutrone. Nessuna forza, ma un cambiamento di stato.

Il campo debole è prodotto dal neutrone stesso. Un neutrone emette continuamente quanti del campo debole. L’interazione del neutrone con questi quanti può portare alla trasformazione dello stato, analogamente a quanto farebbe un elettrone interagendo con il proprio campo elettrico. Anche classicamente, un elettrone, in linea di principio, deve interagire con il campo elettrico prodotto da sé stesso, anche se il problema viene spesso ignorato perché, malgrado l’accoppiamento tra il campo e la particella sia infinito (l’intensità del campo diminuisce come 1/), l’interazione non produce alcun effetto misurabile.

Nell’attuale teoria del decadimento beta, un neutrone (in realtà uno dei suoi quark costituenti) emette un campo carico rappresentato dal bosone W, perdendo una carica negativa e diventando un protone. Il bosone W, a sua volta, materializza in un elettrone (che trasporta la carica elettrica) e in un neutrino (che trasporta la quantità di moto e il momento angolare necessari per la loro conservazione).


Continuate a seguirmi. Nel prossimo post parlerò della natura di un elettrone: onda o particella? Il primo episodio è qui.

P.S.: non sono così arrogante da sostenere di avere la risposta definitiva a questa domanda così complicata, ma sono certo di potervi dare un’idea fisicamente più precisa di cosa si debba intendere, effettivamente, per un elettrone.

¹Questa specifica frase è stata estratta dal sito del CERN, che di certo non è poco attendibile.

12 pensieri su “Per un nuovo modo d’insegnare la meccanica quantistica”

  1. “Un neutrone emette continuamente quanti del campo debole.”
    che cosa sono i quanti del campo debole? Che natura hanno? Hanno una massa? Oppure hanno un’energia associata ma non hanno massa? II decadimento dipende dal fatto che emettendo questi quanti il neutrone è sostanzialmente instabile? Scusi le domande forse fuori contesto ma non ho proprio capito la frase contenuta nel suo articolo (peraltro molto bello)

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    1. I quanti del campo debole sono i bosoni W e Z. Sono l’equivalente del fotone (che è il quanto delle interazioni e.m.) per le interazioni deboli.

      Così come il campo e.m. si rivela avere una natura particellare con l’effetto fotoelettrico e quello Compton, così il campo debole si può descrivere come un flusso di bosoni che, a differenza del fotone, hanno massa e possono avere carica elettrica (i W, gli Z sono neutri).

      Cosa significhi per un campo avere carica elettrica sarà il tema di un prossimo post. Un campo con massa è un campo che si propaga a una velocità inferiore a quella della luce.

      Anche gli elettroni emettono quanti (fotoni) quando producono il campo elettrico, ma questo non significa essere instabile. Una particella è instabile quando le leggi di conservazione permettono una trasformazione del suo stato in uno stato diverso (ma equivalente dal punto di vista delle quantità conservate). La massa di un neutrone è maggiore della somma delle masse di protone, elettrone e neutrino; la carica è conservata così come il momento angolare e la quantità di moto, perciò il decadimento è permesso. Il protone “pesa” meno di un neutrone e quindi è stabile.

      Faccia pure tutte le domande che crede e proverò a rispondere (nei limiti della lunghezza consentita).

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      1. Il principio d’indeterminazione si può formulare come ΔEΔt>ℏ/2 (a parte costanti irrilevanti), per cui una violazione della conservazione dell’energia ΔE di durata inferiore a 2ΔE/ℏ è inosservabile. Quello che dunque possiamo immaginare è che i bosoni emessi dal neutrone ne siano riassorbiti immediatamente dopo, a meno che questi non abbiano un’energia sufficiente a produrre un elettrone e un neutrino (nel qual caso si ha il decadimento). I bosoni carichi trasformano temporaneamente i neutroni in protoni, ma quando questi ultimi se li “rimangiano” tornano a essere neutroni: l’importante è che questo processo avvenga in tempi molto brevi.

        Quella sopra è una “spiegazione” non del tutto rigorosa, ma tutto sommato ragionevole, di un meccanismo che in fisica teorica è noto con il termine di “rinormalizzazione”. Voglio dire che, per ovvie ragioni, il meccanismo sopra illustrato ha qualche baco, che tuttavia è accettabile per un’introduzione qualitativa alla teoria dei campi e alla descrizione quanto-meccanica delle interazioni fondamentali.

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      2. Perfetto! E visto che abbiamo fatto 30… la stessa spiegazione vale per gli elettroni che emettono fotoni? In quel caso la massa non cambia ma l’energia sì e perché si conservi immagino che debbano assorbire fotoni, secondo un meccanismo simile a quello enunciato sopra. Giusto?

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  2. Ulteriore domanda: da cosa deduciamo che il fotone non ha massa? Credo sia cruciale anche per capire la relatività generale, no? Dal momento che non ha massa ci aspetteremmo che la sua traiettoria non subisca deviazioni in prossimità di una massa perché la “forza di attrazione gravitazionale” sarebbe nulla. Invece subisce una deviazione e dobbiamo quindi supporre che le nostre idee sulla forza di gravità vadano riviste, giusto? A quel punto si può capire meglio il fatto che lo spazio e quindi la direzione “dritta” in prossimità di una massa non sia quella che ci aspettiamo…

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    1. La relatività ci dice che non sono le masse le sorgenti del campo gravitazionale, ma l’energia. Ia luce, infatti, è soggetta alla forza di gravità. L’esperimento di Eddington lo dimostrò molto chiaramente e oggi vediamo fenomeni come il lensing gravitazionale dovuto proprio al cambiamento della direzione di propagazione della luce quando passa vicino a un oggetto molto massiccio. Ci sono anche misure che evidenziano come cambia la frequenza della luce quando “cade” in prossimità della Terra (un raggi laser puntato verticalmente).

      Secondo la relatività E²=p²c²+m²c⁴ per una particella di quantità di moto p e massa m. Nel caso della luce E=pc, quindi m=0.

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      1. Intanto grazie per la precisazione sulle sorgenti del campo gravitazionale. Non ho capito l’affermazione in merito all’energia di una particella. Per dire che la luce non ha massa dovrei fare un esperimento che lo dimostri, non posso partire da una formula e dire che uno dei termini è nullo e basta… dovrei riuscire con un esperimento a dimostrare che per la luce vale E=pc e che di conseguenza m=0. Inoltre p come lo definisco? p=mv? Credo di no perché sennò mi ritrovo tra i piedi ancora la massa… Insomma sono ancora un po’ confuso…

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  3. Ovviamente non basta una formula, ma un oggetto che si propaga alla velocità della luce, in relatività, ha energia pari a pc e dunque massa nulla. La luce si propaga alla velocità della luce, quindi la sua massa è nulla perché la sua velocità di propagazione è c.

    In meccanica classica p=mv perché vale la relatività galileiana. In cinematica relativistica, accelerando una particella non se ne ottiene un aumento della velocità (se non a velocità molto basse, per cui le due teorie di fatto coincidono), ma un aumento della quantità di moto, che cresce col fattore di Lorentz gamma.

    Può guardare la Fig. 7 di https://www.open.edu/openlearn/science-maths-technology/collisions-and-conservation-laws/content-section-7.2, in cui l’energia è riportata in funzione della velocità della particella. Solo per basse velocità E=1/2mv^2 e p=mv. A velocità prossime a quelle della luce l’energia diverge e la quantità di moto classica è moltiplicata per il fattore di Lorentz.

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