didattica, outreach

Per un nuovo modo d’insegnare la meccanica quantistica

episodio 1: il concetto di stato


La meccanica quantistica è spesso insegnata come una “rivoluzione”, facendo leva sui suoi aspetti paradossali. In parte, ciò è dovuto al fatto che gli insegnanti (i libri) tendono a seguirne lo sviluppo storico (il che non sempre è una buona idea); in parte al presupposto, sbagliato, che questi aspetti la rendano più interessante. Il risultato è che la maggior parte delle persone (compresi molti “professionisti”) non credono davvero alla teoria e molti la considerano impossibile da capire (spesso citando a sproposito il prof. Feynman). In realtà, la meccanica quantistica non è così diversa dalla meccanica classica, a patto che si consideri quest’ultima per quello che è realmente. In questo e nei seguenti post cercherò di convincervi che in realtà la meccanica classica è molto più vicina alla meccanica quantistica di quanto crediate.


Il primo passo consiste nel riesaminare la meccanica classica in vista di un’introduzione alla meccanica quantistica. Questo episodio è dedicato a chiarire il concetto di “stato”. Negli episodi successivi tratteremo altri concetti, spesso trascurati, della fisica classica.

Il concetto di stato

Nella fisica classica non è infrequente imbattersi nel concetto di “stato”. In particolare, nella maggior parte dei libri di testo si trova che:

  1. lo stato di una particella puntiforme è dato quando la sua posizione e la sua velocità sono note;
  2. lo stato di un gas è dato dalla legge dei gas perfetti (detta anche equazione di stato dei gas) secondo la quale pV﹦nRT.

Cosa s’intende per “stato”? Cercarne la definizione in un libro di testo di fisica è una perdita di tempo: di fatto non sono riuscito a trovare un solo libro di testo in cui sia definito. Cerchiamo allora di trovare la sua definizione su un vocabolario. Il dizionario Treccani definisce uno stato come “Il modo di essere, temporaneo o permanente, di cosa o persona” (è interessante notare che una delle voci si riferisce diffusamente allo stato di un sistema fisico, in maniera anche piuttosto precisa ed esauriente, come del resto è costume dell’istituzione). In effetti, questo è il vero significato da dare a questa parola anche in fisica.

Quando vogliamo descrivere un sistema fisico (sia esso una particella puntiforme, un gas, un circuito o un solido), dobbiamo caratterizzarlo fornendo un insieme di grandezze (reciprocamente indipendenti) ottenute misurandole. Lo “stato” di un sistema è dato quando si fornisce un elenco completo di grandezze fisiche misurabili per esso. In altre parole, lo stato comprende tutte e solo quelle grandezze necessarie per caratterizzare completamente il sistema all’istante t in modo da poterne prevedere lo stato in un altro istante t’.

Per un gas ideale, ad esempio, lo stato è caratterizzato da quattro grandezze fisiche: la pressione, il volume, la temperatura e la quantità. Queste grandezze sono collegate fra loro per mezzo dell’equazione di stato, in modo tale che ne bastano solo tre per specificare lo stato di un gas. In linea di principio, potrebbero esserci altre grandezze misurabili d’interesse: il colore del gas, per esempio, potrebbe essere una delle variabili di stato. Tuttavia, fintanto che non c’interessano i cambiamenti di colore di un gas, la sua inclusione nello stato è inutile, analogamente a quanto accade per la massa in meccanica, laddove quest’ultima si consideri costante. Lo stato, quindi, comprende solo quantità “interessanti”, cioè quantità che si possono misurare e non dipendono l’una dall’altra. In sintesi, prendendo a prestito la notazione della meccanica quantistica, possiamo specificare lo stato di un gas ideale come |p, V, T 〉 oppure come |p, V, n〉 o qualsiasi altra combinazione di p, V, n o T.

In cinematica, si dice spesso che lo stato di una particella è dato quando se ne conoscano la posizione e la velocità. In effetti, in questo caso, lo stato dipende dalla scelta del sistema di riferimento in cui sono espresse le coordinate (si noti che quando si parla di gas si usa implicitamente un sistema di riferimento fermo rispetto al contenitore del gas). La fisica non può dipendere dalle nostre scelte, quindi ci dev’essere un modo per esprimere lo stato di un sistema indipendentemente da esso. Si può scegliere un sistema di riferimento “privilegiato” costituito dal sistema in cui la particella è a riposo per t=0. In questo caso lo stato è pienamente caratterizzato fornendo la velocità v, che tuttavia nel sistema in questione è nulla. Se la velocità della particella è costante, nel sistema di riferimento dato rimane nello stato|x=0, v=0〉, altrimenti il suo stato cambia.

Naturalmente potremmo argomentare in modo molti simile per vari sistemi (vedi anche la voce del dizionario Treccani sopra citato). Per esempio, lo stato di un condensatore può essere caratterizzato quando la carica Q e la differenza di potenziale ai suoi capi ΔV sono note. In questo caso, la definizione di capacità C=Q/ΔV gioca il ruolo dell’equazione di stato nella fisica dei gas. Si può fare l’utile esercizio d’identificare lo stato su ogni sistema fisico che si conosce.

Quindi, lo stato dipende dal sistema che ci interessa, non solo perché comprende solo quantità rilevanti per il problema specifico: secondo il sistema, l’elenco delle variabili potenzialmente interessanti cambia. Chiaramente, non possiamo caratterizzare lo stato di un gas utilizzando posizione e velocità: queste quantità semplicemente non hanno senso per un gas (hanno senso per i suoi costituenti, non per il gas come sistema — osserviamo, inoltre, che la teoria cinetica dei gas è una scoperta relativamente recente). Un gas può essere contenuto in un volume: possiamo identificare la posizione (di un punto) del contenitore, non del gas. Ha una certa temperatura: non si muove, quindi non ha velocità (i suoi consitituenti ce l’hanno, ma non sono un gas; sono particelle puntiformi). Va chiarito che qui ci riferiamo a un gas ideale in equilibrio. Quando facciamo la fisica di un gas che scorre in un tubo, la sua velocità ha senso (ma ha una definizione un po’ diversa) e infatti fa parte dello stato del fluido, essendo possibile prevederne il valore utilizzando l’equazione di Bernoulli e conoscendone lo stato a t=0.

Ora, a un certo punto si scopre, grazie al principio d’indeterminazione di Heisenberg, che lo stato di un elettrone in un atomo non può essere rappresentato dalle stesse variabili usate per una particella puntiforme. Semplicemente perché in questo caso la posizione e la velocità di un elettrone non hanno senso: non si possono misurare, quindi non possono far parte dello stato. Non esistono.

Di un elettrone in un atomo (un sistema quanto-meccanico) possiamo misurare la sua energia (ad es. con l’effetto fotoelettrico) e il suo momento angolare (dall’analisi degli spettri di assorbimento e di emissione). Quindi, sono l’energia e il momento angolare ad essere quantità significative per un tale sistema e sono loro a poter essere incluse nel suo stato. 

Per una particella subatomica libera come un muone (di nuovo un sistema quanto-meccanico), possiamo misurare posizione e velocità in determinate condizioni, quindi ha senso includerle nello stato. Una scelta migliore (il sistema è spesso relativistico) è quella di specificare lo stato cinematico del muone indicandone energia e quantità di moto. I muoni sono instabili e decadono (si trasformano) in un elettrone e due neutrini. Lo stato del sistema è dunque caratterizzato dal numero e dal tipo delle particelle in esso contenute (inizialmente è la massa del muone a identificarne lo stato). Dopo un certo tempo lo stato si è evoluto in modo tale che, per tempi sufficientemente lunghi, lo stato si trova composto di tre particelle: un elettrone e due neutrini, ognuna delle quali ha la sua energia e la sua quantità di moto.

In sintesi, il concetto di stato si pone tradizionalmente nella meccanica quantistica come un concetto centrale che la maggior parte delle persone ha difficoltà ad afferrare. In effetti, si tratta di un concetto piuttosto semplice, che esiste anche nella fisica classica, e le difficoltà sorgono solo perché il suo ruolo non è sufficientemente chiarito quando siamo esposti alla fisica classica. Se fossimo abituati a scrivere le leggi della fisica (classica) in termini di evoluzione di uno stato, non saremmo sorpresi quando passiamo a una descrizione completamente diversa, quanto-meccanica, di un elettrone in un atomo. In fondo, il modello di Bohr dell’atomo è sbagliato. Continuare ad insegnarlo è come continuare ad insegnare la teoria del “calorico”. È istruttivo menzionarla, ma nessuno di noi crede sia utile discuterne i dettagli. La fisica classica sta alla meccanica quantistica come la teoria cinetica sta alla termodinamica. Si tratta solo di cambiare il modo in cui descriviamo lo stato, a causa del fatto che le grandezze fisiche utilizzate nella fisica classica perdono di significato in certe condizioni (questo non è tipico della meccanica quantistica: anche nella fisica dei gas, posizione e velocità perdono il loro significato).


Nella prossima puntata parleremo di forze e di interazioni. Continuate a seguirci.

6 pensieri su “Per un nuovo modo d’insegnare la meccanica quantistica”

  1. Di Fisica ho capito sempre poco pur avendo superato un esame all’Università e fatto male il liceo scientifico Ormai a 65 anni posso solo supporre che un professore molto empatico avrebbe potuto farmi capire qualcosa di semplice. Comunque lo stato l’ho letto per sua stima e fino ad un certo punto ho capito. Grazie

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      1. Professore lei ha il suo target , già che mi ha fatto riflettere sulle dimensioni mi ha aiutato anche per qualche mia esemplificazione per sostegno alle medie!

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